giovedì 7 giugno 2012

RIFORMA PAC...RISVOLTI E ASPETTATIVE !!!

Di seguito pubblichiamo un interessante articolo del dott. Castellotti che traccia un quadro di riferimento per una valutazione riflessiva sulle prospettive future del settore primario e delle implicazioni che le stesse potranno avere nell'attività professioanle di imprenditori e tecnici.


Riforma Pac, converranno ancora gli aiuti?

Categoria Notizie Data: 07-06-2012
Converrà ancora per gli agricoltori prendere i fondi della Pac? La risposta non è così scontata. Anzi, la tesi di Confai, la Confederazione agromeccanici e agricoltori italiani, potrebbe sorprendere perché emette un giudizio non proprio morbido sulla proposta di riforma della Pac post 2013, alla luce di un’analisi economica del professor Ermanno Comegna, economista agrario, esperto di Politica agricola comune e direttore della rivista “Latte d’Italia”.
“Se la futura Pac dovesse rimanere così come è stata formulata dalla Commissione Agricoltura presieduta da Dacian Cioloş – sostiene il presidente di Confai, Leonardo Bolis - riteniamo più conveniente affacciarsi sul mercato senza protezioni, almeno in alcuni bacini agricoli europei. Si risparmierebbe tempo per gli adempimenti burocratici e le imprese agricole non sarebbero soggette a gioghi come il greening o l’alternanza produttiva”.
Addio Pac? La posizione della Confederazione agromeccanici e agricoltori italiani si è formata, come detto, sulle lucide elaborazioni del professor Comegna. “Una recente ricerca sul campo che ho personalmente condotto, realizzando interviste dirette presso gli imprenditori agricoli di diversi settori produttivi – dichiara infatti Comegna - ha chiaramente evidenziato che risulterebbe particolarmente concreto il rischio di sganciarsi dalla Pac per l’eccessiva burocrazia e per gli elevati oneri di varia natura che comporta. D’altronde, la proposta di riforma della Pac prevede ad oggi aiuti in molti casi sensibilmente più bassi rispetto a quelli incassati attualmente”.
Agricoltura specializzata e allevamenti intensivi. Con una messa a fuoco migliore, potrebbero non presentare la domanda di pagamenti diretti gli agricoltori specializzati, con aziende localizzate in aree ad alta vocazione nei confronti di una determinata coltura. “Si pensi al mais in certi bacini della Pianura padana, dal Piemonte al Friuli-Venezia Giulia, passando per Lombardia e Veneto – afferma Comegna. “Ma lo stesso potrebbe accadere per certi allevamenti intensivi e specializzati che hanno necessità di produrre in casa determinati tipi di alimenti zootecnici”.
D’altronde, osserva Comegna, “rinunciare alla Pac significa spendere meno in pratiche amministrative, avere meno controlli in azienda, guadagnare tempo da dedicare alla gestione, all’innovazione ed alla ricerca di nuovi mercati, avere più libertà di scelta e non essere costretti a sottostare a vincoli e condizionamenti che incidono sui risultati economici e che in certi casi sono ridondanti, ingiustificati e incomprensibili”.
Due conti sul greening. “Accettare il greening significa introdurre una seconda ed un terza coltivazione sui terreni a seminativi e mettere fuori produzione il 7% della superficie - sintetizza Comegna.
Secondo Confai, tutto ciò penalizza indubbiamente la produzione principale, verso la quale l’azienda è specializzata e dove riesce ad ottenere la maggiore produttività e un livello di reddito che le coltivazioni alternative non riuscirebbero ad assicurare. “E tutto questo per un compenso che dovrebbe attestarsi, secondo i calcoli, attorno a 70-80 euro per ettaro”.
Due categorie di agricoltori? Il rischio implicito nelle attuali proposte della riforma Pac è quello di creare una duplice categoria di agricoltori. “Quelli che rimangono nel sistema della Pac, così come hanno fatto da quando è entrato in vigore il regime dei pagamenti diretti, vent’anni fa – dice Comegna - e quelli che si liberano le mani e rinunciano al sostegno pubblico, perché ritengono che tale strada sia la migliore e la più conveniente”.
Col greening congelati 3,8 milioni di ettari. Dai risultati di una recente simulazione eseguita su dati Eurostat e Commissione europea, anticipa Comegna, “per effetto della regola relativa al 7% di aree ecologiche, dovrebbero essere messi fuori produzione a livello europeo 3,8 milioni di ettari, con una riduzione equivalente in termini di produzioni di cereali parti a 20,4 milioni di tonnellate. Questo significa che l’Unione europea diventerà dipendente dalle importazioni e non più esportatrice come è oggi”.
Per gli agricoltori una perdita di 4,8 miliardi di euro. Nel complesso “gli agricoltori europei subiranno una perdita economica di 3,7 miliardi di euro, equivalente ad una riduzione del 6% del margine lordo per ettaro”, calcola la ricerca.
Ma non è tutto, incalza Comegna, “perché con la regola della diversificazione colturale (3 colture arabili presenti nello stesso anno), ciò implicherebbe la conversione di 1,4 milioni di ettari di cereali verso altre produzioni, essenzialmente oleaginose e proteiche, con una ulteriore riduzione di 6,3 milioni di tonnellate di cereali ed una perdita economica di 1,1 miliardi di euro”. Quindi, calcolatrice alla mano, la perdita complessiva toccherebbe i 4,8 miliardi di euro.
Per l’Italia una perdita economica di mezzo miliardo di euro. Calato sull’Italia, l’effetto dovrebbe essere di un congelamento dalla produzione di 254.000 ettari per effetto della regola sulle aree a valenza ecologica e una diminuzione della superficie a cereali di 302.000 ettari a seguito della diversificazione. Tradotto in termini economici, Confai stima che la contrazione potrebbe aggirarsi (a valori di mercato attuali) intorno a 500 milioni di euro.
Le conseguenze sulle imprese di meccanizzazione agricola. “La sottrazione del 7% della superficie coltivata – sottolinea Bolis - si tradurrà automaticamente in minor lavoro per i contoterzisti agrari. Inoltre, l’obbligo di introdurre almeno tre diverse colture per ogni azienda agricola costringerà gli agromeccanici ad operare su appezzamenti sempre più piccoli e parcellizzati, senza riuscire più a cogliere i benefici delle economie di scala e ad effettuare ammortamenti delle macchine in tempi ragionevoli”.
Tra le altre conseguenze che le politiche di inverdimento potrebbero causare alla categoria dei contoterzisti Confai annovera l’impossibilità di effettuare una razionale programmazione dei lavori: tutto ciò a causa di scelte colturali delle aziende agricole, guidate più dal greening che da effettive esigenze produttive o dalle richieste dei mercati.
Più CO2 e maggior consumo di carburanti. “Peraltro – osserva Bolis – a fronte di tutti questi sacrifici per le imprese agricole e agromeccaniche non ci sarebbero neppure reali benefici per l’ambiente. Al contrario, l’innaturale diversificazione colturale su poderi medio-piccoli porterebbe ad un’eccessiva movimentazione di mezzi sullo stesso podere con aumento dell’inquinamento da CO2 e spreco di carburanti”.
Autore : Giampiero Castellotti

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