lunedì 3 maggio 2010

SEMINARIO INEA: IL CONSUMO SOCIALMENTE RESPONSABILE

Il consumo socialmente responsabile: contributi e considerazioni dal seminario Inea

30.04.10
Gabriele Casani

Il tema del consumo socialmente responsabile è stato oggetto di numerosi dibattiti in ambito accademico e di altrettante iniziative nel mondo civile. La necessità di pensare e implementare un nuovo modello di consumo si colloca in un quadro ben più ampio che vede l’attuale crisi come uno dei fattori determinanti insieme all’esigenza dei consumatori di godere di alimenti sicuri e rispettosi dell’ambiente.

Il giorno 22 aprile 2010 si è tenuto a Roma il seminario organizzato dall’Inea intitolato “Il consumo socialmente responsabile: un volano per lo sviluppo dell'economia civile". In occasione della “Giornata mondiale della Terra”, infatti, l’Istituto nazionale di economia agraria ha invitato i partecipanti a riflettere sul tema del consumo alimentare sostenibile. Oltre 70 persone provenienti dal mondo delle Istituzioni, della ricerca pubblica e privata, e di quello diplomatico e civile hanno partecipato all’evento.

Giovanni Panero, in qualità di presidente della VI Commissione, ha portato il saluto del Cnel. In seguito, Lucia Briamonte, responsabile del progetto Inea sulla Rsi, ha illustrato le attività svolte fino ad oggi e quelle in corso di realizzazione; dopo la pubblicazione di tre volumi sulla Rsi nel settore agricolo e agroalimentare (un volume teorico-esplicativo, le linee guida e i casi studio aziendali), il gruppo di lavoro dell’Inea sta concentrando i propri sforzi su tre tematiche: la sostenibilità nei rapporti di filiera, i metodi di produzione sostenibile e il consumo responsabile. Quest’ultimo, afferma Briamonte, affonda le sue radici in una maggiore sensibilità del consumatore per le quattro macroaree individuate dall’Inea - ambiente, lavoro, territorio e prodotto - e prende forma attraverso un progressivo passaggio verso nuovi modelli d’acquisto che s’incentrano sul consumo critico e sono volti alla valorizzazione del territorio.

È proprio in questo contesto, dunque, che s’inseriscono i distretti di economia solidale (Des), sorretti a loro volta da una serie di iniziative quali partnership pubblico-private e “attività sociali che hanno l'obiettivo di migliorare il benessere dei cittadini, la solidarietà sociale e la sostenibilità ambientale”.

Reti di attori socialmente responsabili: una risposta di lungo periodo (?)

Partendo dal concetto di territorio come centro di sviluppo, Giuseppe Notarstefano (Università degli studi di Palermo) ha offerto un framework teorico-concettuale sui Des, i quali si inseriscono nel Psr 2007-2013, nella misura in cui constano di tutti gli elementi necessari (solidarietà, inclusione sociale e integrazione multiculturale) per favorire strategie di sviluppo locale.

Il distretto, dunque, non è da considerare come una mera partizione geografica, bensì una “condensazione di attività economiche connesse vitalmente a una società e in essa radicate culturalmente”. In tale logica, il territorio cessa di essere il contesto in cui si formano le relazioni socio-economiche tra gli stakeholders, divenendo il soggetto, il sistema, la rete, e dunque, le relazioni stesse. In particolare, “se tale luogo si sostanzia come comunità di valori in cui si riconoscono sia i produttori di beni e servizi che i consumatori, allora il dispositivo del distretto assume una tensione etica”. In una situazione del genere, le imprese aderenti al Des sono naturalmente incentivate ad incorporare nella loro policy i valori appartenenti alla comunità territoriale la quale, a sua volta, sceglierà di consumare beni e servizi offerti da quelle stesse aziende nei cui principi si riconoscono. In altri termini, anche il consumo di beni alimentari diverrebbe naturalmente responsabile.

Inefficienze di filiera e crisi: le ricadute sul consumatore

Dalla relazione di Andrea Zaghi (Nomisma), si evince che i consumatori italiani scontano una sostanziale dipendenza dall’estero in termini di approvvigionamento di alcune produzioni agricole primarie (cereali, legumi, carne, etc.); in secondo luogo, l’Italia è soggetta a un’elevata frammentazione nella fase produttiva e distributiva rispetto ai principali Paesi europei; a tutto questo bisogna aggiungere un forte deficit infrastrutturale e il prezzo dell’energia del 30% superiore alla media comunitaria. La somma di questi fattori contribuisce all’aumento del prezzo finale dei beni alimentari, e considerando che per ogni 100 euro di spesa, solo 3 sono indirizzati agli “utili di filiera”, ne consegue che la condizione attuale della filiera agroalimentare è sfavorevole non solo per i consumatori ma anche per i produttori.

Nuovi modelli di consumo e organizzazione di filiere etiche e responsabili: una risposta di breve periodo

L’idea/necessità di ripensare la filiera agricola nasce dalla scarsa capacità dei meccanismi del libero mercato di venire incontro alle esigenze dei produttori agricoli (che percepiscono solo una minima parte del prezzo finale), dei consumatori tradizionali (preoccupati per gli aspetti di qualità e salubrità) e di quella crescente categoria di consumatori più attenti, critici ed eticamente responsabili. In questa nuova logica, l’idea della filiera corta offre una maggiore interattività tra domanda e offerta e permette ai consumatori di colmare il gap informativo che spesso si crea dietro un’etichetta poco chiara e non esaustiva.

Carlo Hausmann (Azienda romana mercati) ha illustrato le nuove tendenze riguardanti la filiera corta attraverso diverse tipologie che vanno dal farmer’s market (circa 600 in tutta Italia tra mercati settimanali, bisettimanali e periodici), alla vendita diretta (dalle 60 alle 100 mila imprese esclusi gli agriturismo), alla produzione partecipata, sempre più in espansione, caratterizzata dalla figura ibrida del partner/cliente. Altre forme di filiera corta includono la vendita on-line (soprattutto attraverso i Gas) e l’autoraccolta.

Alla luce di questo potenziale, è necessario supportare il trend in espansione della filiera corta (secondo i dati forniti sono oltre 8 milioni le persone almeno interessate a questa realtà): in particolare, non è più corretto parlare dei farmer’s markets come di un fenomeno di tendenza, bensì come una realtà che si è da tempo affermata a livello internazionale e che sta velocemente prendendo piede anche in Italia. Per questo motivo, è fondamentale che l’attività di comunicazione sia accompagnata da sforzi orientati alla formazione degli addetti ai lavori e assistenza al settore in termini di servizi e infrastrutture.

Crisi e cambiamento dei modelli di consumo: l’approccio delle famiglie

Marco Livia (direttore Iref) propone il tema della crisi globale analizzata sotto la lente dei nuclei familiari. I dati presentati mostrano, infatti, come gli italiani stiano soffrendo la forte recessione. Tra settembre 2009 e febbraio 2010, circa il 70% di questi hanno acquistato prodotti a basso costo e risparmiato su beni primari alla base dell’alimentazione nostrana (pane, pasta e carne). In termini di consumo responsabile, al momento dell’acquisto il 54% degli italiani reputa “molto importante” l’impatto ambientale di un prodotto (contro il 34% della media Ue) sebbene, per quanto riguarda alcuni comportamenti etici di base, l’Italia non ottenga risultati eccezionali né sul riciclaggio domestico dei rifiuti né sull’uso moderato dell’acqua. In sintesi, l’aumento della disoccupazione e il deterioramento dei bilanci familiari hanno portato le prospettive di risparmio al ribasso e a un progressivo calo di fiducia negli operatori di mercato. Ancora una volta, dunque, la mano invisibile non è riuscita a massimizzare l’utilità di tutti gli stakeholders e mai come oggi c’è bisogno di nuovi modelli di produzione (consumo) che non siano fondati esclusivamente sulla mera logica di profitto (convenienza). Secondo Marco Livia, infatti, “è necessario promuovere un mercato nel quale possano liberamente operare, con le stesse condizioni, imprese che perseguono fini istituzionali diversi. Accanto all’impresa privata profit, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali.”

Crisi e cambiamento dei modelli di consumo: l’approccio delle Istituzioni

Con il suo intervento, Stefania Ricciardi del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ha presentato la risposta delle Istituzioni al consumo sostenibile, soffermandosi prevalentemente sull’importanza di una sana alimentazione dei giovani in età scolare. L’attività del MIPAAF passa attraverso la realizzazione di tre progetti che ha visto coinvolte migliaia di scuole in oltre venti Paesi europei. In particolare, il progetto “Frutta nelle scuole” mira a sensibilizzare il pubblico più giovane (bambini in età scolare dai 6 agli 11 anni) non solo attraverso l’incentivo di un maggiore consumo di frutta e verdura, ma anche attraverso l’organizzazione di attività ludico-didattiche nelle fattorie fuori città. Seguono “Mangia bene, cresci meglio” e “Food 4U”, orientati rispettivamente ai ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori. Entrambe le attività sono finalizzate a sensibilizzare e informare i giovani sull’importanza di un’alimentazione sana e consapevole e a stimolare i ragazzi a esprimere il loro punto di vista su temi di grande attualità come il rapporto dei giovani con il cibo, il problema dell’obesità e l’impatto delle mode di consumo alimentare dettate dalla globalizzazione.

I vari temi fin qui toccati sono stati ripresi e approfonditi durante la tavola rotonda su “Percorsi locali socialmente responsabili per aziende agricole e consumatori”, cui hanno partecipato i rappresentanti delle associazioni di produttori e consumatori, delle confederazioni agricole, di Federalimentare e dei gruppi di acquisto solidale (Gas). In particolare, dal dibattito è stata confermata la figura di un consumatore orientato non tanto a spendere meno, quanto piuttosto a spendere meglio, cercando di fronteggiare il trade-off tra prezzo, qualità ed eticità del prodotto.

Conclusioni e considerazioni finali

I contributi scaturiti dal seminario appaiono confermare l’ipotesi secondo cui il cambiamento dei modelli di acquisto non sia esclusivamente il prodotto di una maggiore presa di coscienza ambientale del consumatore di nicchia. Considerando la congiuntura sfavorevole che sta attraversando trasversalmente tutti i settori dell’economia e dati i recenti scandali di sicurezza alimentare, sembra che il fenomeno sia piuttosto dovuto alla necessità da parte di una fetta di consumatori sempre più ampia di trovare alternative di acquisto economicamente vantaggiose, certamente sane ed eticamente ponderate.

Se da un lato il mondo dell’agricoltura ha bisogno di ritrovare nel proprio modus operandi una connotazione sociale (e per certi versi antropologica) per ricostruirne il sostrato più intimo che si è andato perdendo con le logiche di mercato, dall’altro lato numerose forme di filiera corta sono in grado di servire questa necessità con la consapevolezza, però, che queste sono destinate a rimanere un fenomeno di nicchia.

In questo senso, l’idea dei distretti di economia solidale, attraverso i valori di eticità, integrazione multiculturale e solidarietà, può aiutare a modificare alla base il contesto attuale, soprattutto attraverso la rivalutazione del concetto di rete di persone che vivono attivamente il territorio.


pt/2010

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