lunedì 11 luglio 2011

PROFESSIONISTI: IL 50% E' SULLA SOGLIA DI POVERTA' !

pt/2011/gmt/07

(Sotto)stimati professionisti.Il 50% è sulla soglia di povertà.

Laureati, senza tutele, obbligati spesso a scegliere la libera professione pur di lavorare, quasi mai soddisfatti del loro lavoro e dei loro ordini professionali. Sono i professionisti italiani o aspiranti tali, cinque milioni e mezzo di lavoratori del nostro Paese costretti - senza grandi differenze tra autonomi e dipendenti - a fare i conti con un'economia che non riconosce competenze e compensi adeguati. E soprattutto, in tanti (i due terzi) pronti a scappare anche all'estero se questo servisse a migliorare le proprie condizioni di lavoro e di vita.

E' l'ultimo rapporto dell'Ires a delineare il quadro in chiaroscuro delle professioni in Italia, con scenari in alcuni casi inediti. Dati su dati che sovvertono il tradizionale clichet del professionista affermato (appena il 17 per cento degli intervistati si sente tale), con la maggior parte costretta a fare i conti con redditi bassi (l'83 per cento guadagna sotto i 30 mila euro all'anno) e prospettive di carriera minime quando sono alle dipendenze.


Lavoro intermittente. Nell’indagine promossa dalla Consulta delle professioni della Cgil e dalla Filcams e presentata questa mattina a Roma, si scoprono le condizioni di categorie spesso diversissime tra loro, ma assillate da identiche difficoltà e preoccupazioni: come avere compensi equi, ma soprattutto tutele sociali in caso di malattia, infortunio, maternità, disoccupazione. Tanto più, che 6 liberi professionisti su 10 dichiara di essere stato costretto ad alternare lavoro e periodi di disoccupazione anche lunghi negli ultimi cinque anni, con punte dell' 88 % tra gli operatori dello spettacolo.

La metà guadagna meno di 15 mila euro. E quando si lavora, si lavora con ritmi troppo serrati per il 66 % degli intervistati - che rendono difficile conciliare il proprio percorso esistenziale e avere figli (53,6%) - in cambio di redditi, nella maggioranza dei casi, piuttosto magri. Guadagnano meno di 15 mila euro netti annuali tra gli occupati nello spettacolo (il 64,5%), dell’informazione ed editoria (59,6%), tra i docenti e gli educatori (67,8%), i ricercatori (52,6%), anche per l'estrema difficoltà di contrattare i compensi (il 72 % degli operatori dell'informazione lo dichiara). L'auto-percezione ripropone la figura del "libero professionista senza tutele", che deve fare ricorso, di fronte a opportunità di guadagno non elevate e discontinuità occupazionale rilevante, all’aiuto dei genitori che diventano "una forma necessaria di ammortizzatore sociale" nel 53 % dei casi. Di fronte a una situazione che sembra senza via d'uscita, in molti si dichiarano pronti a cambiare città o a lasciare l'Italia (2 intervistati su 3).

I dipendenti. E anche quando il professionista lavora come dipendente, gli elementi di insoddisfazione sono molteplici. La maggior parte vede poche prospettive di carriera (l’84,1%) non è soddisfatto del trattamento economico (80,3%), delle opportunità di conciliare la vita lavorativa con quella famigliare (62,8%), del riconoscimento delle competenze (74,7%), mentre più della metà giudica poco coerente il lavoro che effettivamente svolge rispetto alla propria professione. Se questa sono le condizioni per chi lavora, accedere al mondo professionale comporta per i tirocinanti e gli stagisti una lunga attesa – tre anni per un avvocato o un consulente del lavoro – per riuscire a strappare un compenso minimo.

Ordini e Welfare. In assenza di uno stato sociale all'altezza, che dovrebbe secondo i professionisti tutelare di più malattia e infortunio, incentivare la stabilizzazione dei contratti, sostenere i disoccupati, molte aspettative sono rivolte agli ordini professionali che quando sono riconosciuti però, non tutelano – secondo gli iscritti - abbastanza la concorrenza e i giovani (più del 70 per cento lo pensa), mentre i dipendenti sono in genere poco sindacalizzati (21 per cento). Nell'85 per cento dei casi, la professione non è regolata dal contratto. "C'è molto da fare – spiega il segretario della Filcams, Franco Martini, facendo riferimento alla trattativa in corso sugli studi professionali – il contratto può essere utile per introdurre, attraverso meccanismi di bilateralità, garanzie per i lavoratori".


Fonte: L’Unità del 27 aprile 2011

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